STORIE DI "GRAZIE" E
DI "PERDONI"
Cronaca dei fatti
novembre
2001
Il 6 giugno, su Avvenire,
la figlia di De Gasperi, Maria Romana, parla del perdono che De Gasperi
avrebbe concesso a nostro padre:
Il 28 luglio dello stesso
anno (1954, N.d.R.) De Gasperi indirizzò alla Procura di
Roma, dove era stata presentata nell'interesse di Giovanni Guareschi, domanda
di grazia, una lettera nella quale diceva: "... nel presupposto e nella
certezza che l'atto di grazia non possa né debba in alcun modo infirmare
la validità della condanna per diffamazione, né lasciar sorgere
il minimo equivoco circa la verità risultata dal processo, dichiaro
che non ho nessuna difficoltà a rispondere affermativamente alla
domanda rivoltami dalla Procura". Non va infine dimenticato che mio padre
morì poche settimane dopo, nell'agosto del '54.
Leggendo queste righe risulta
che nostro padre - o nostra madre per lui come prescrive la legge – abbia
presentato domanda di grazia e che la parte lesa - interpellata come prescrive
la legge - ha dato il suo consenso, perdonando il reo. Ma come si sono
svolti i fatti? Vogliamo raccontarli utilizzando proprio la stampa dell’epoca
che diede loro ampia risonanza:
"Giovannino vuole uscire"
titola il 29 luglio 1954 L’Unità
di Milano:
Roma, 28. - L’agenzia "Servizio
Informazioni Parlamentari" ha annunciato - da fonte sicura - che Giovanni
Guareschi, direttore del settimanale Candido, il quale aveva rinunciato
all’appello per scontare la pena inflittagli dal Tribunale di Milano in
seguito al noto processo contro De Gasperi, avrebbe inoltrato giovedì
scorso la domanda di grazia. La signora Guareschi – prosegue l’agenzia
– avrebbe fatto pervenire la scorsa settimana al procuratore generale della
Corte d’Appello di Milano la regolare domanda con la quale, mettendo in
rilievo motivi familiari e di salute del coniuge, avrebbe chiesto per il
detenuto Giovanni Guareschi la grazia del Presidente della Repubblica.
La Procura Generale della capitale lombarda avrebbe trasmesso la richiesta
al ministero di Grazia e Giustizia perché essa segua la procedura
d’uso. Il Guardasigilli a sua volta avrebbe incaricato la Procura Generale
di Roma di esperire le pratiche relative. Tra queste pratiche, dovrebbe
comunque esservi l’assenso della parte lesa, cioè dell’on. De Gasperi.
Non è da escludersi dunque che Giovanni Guareschi riacquisti la
libertà anche prima del prossimo ferragosto.
Se la notizia che nostra madre
ha presentato domanda di grazia è vera, la scelta di nostro padre
di non ricorrere in appello e quindi di andare in carcere viene svuotata
di ogni significato. La reazione immediata di nostro padre è violenta;
si sente "tradito" da nostra madre e il 29 luglio scrive sul Quaderno
n. 2 del carcere:
La mia carriera di giornalista
è incominciata onorevolmente in un campo di concentramento tedesco
ed è finita miseramente in un carcere italiano. Provo vergogna davanti
ai rapinatori e ai ladri di galline. Non è colpa mia, ma oggi mi
sento più spregevole di loro.***
Grazie signora (si rivolge
a nostra madre, N.d.R.). Mi hai pitturato di merda da capo a piedi.
Il giorno dopo, apprendendo
che la notizia era falsa, cancella tutto con una riga e tra quelle righe
sconsolate scrive: "ANNULLATO. *** Era una notizia falsa".
Il 30 luglio, infatti, la
stampa comunica la notizia della smentita di nostra madre. L’Alto
Adigedi Bolzano scrive:
Milano 29 – La direzione
di Candido ha comunicato alla stampa la seguente dichiarazione:
"Alcuni giornali hanno pubblicato con titoli vistosi una notizia dell’agenzia
servizi informazioni parlamentari, secondo la quale la signora Ennia Guareschi
"avrebbe fatto pervenire al Procuratore generale della Corte d’Appello
di Milano la regolare domanda con la quale mettendo in rilievo i motivi
familiari e di salute del coniuge chiedeva per il detenuto Giovanni Guareschi
la grazia del presidente della Repubblica". La signora Ennia Guareschi
dichiara che tale notizia è assolutamente falsa, e si riserva di
procedere legalmente contro l’agenzia che ha diramato la falsa notizia
e contro quei giornali che l’hanno pubblicata".
Ma chi ha inoltrato la domanda
di grazia la cui pratica che è stata istruita dalla Procura della
Repubblica? Ce lo spiega il Secolo
XIX di Genova del 30 luglio:
Milano, 29 luglio (...)
un’istanza per la concessione della grazia al direttore di Candido è
stata indirizzata tempo fa da un gruppo di grandi invalidi di guerra decorati
di medaglia d’oro, al ministro di Grazia e Giustizia. L’istanza è
stata trasmessa per l’istruzione della pratica alla procura della Repubblica
di Parma, la quale l’ha girata per competenza all’ufficio grazia e indulto
della procura milanese. Si tratta di una richiesta non contemplata dal
codice di procedura penale, perché – secondo la legge – la domanda
di grazia può essere avanzata solo dall’interessato, da un suo familiare
o dall’avvocato difensore. Tuttavia la magistratura sta raccogliendo i
documenti di rito, fra i quali dovrebbe figurare anche l’assenso della
parte lesa, cioè dell’on. De Gasperi.
Nostro padre scrive a nostra
madre il 30 luglio 1954:
San Francesco, 30 luglio
54. – Carissima Ennia, ringraziando il cielo l’incubo è passato!
Ricorderò per parecchio questa notte. La notizia che tu avevi chiesto
la grazia mi ha colpito come una pugnalata. Non potevo credere, da parte
tua, a tale orribile tradimento: ma i maledetti giornali parlavano con
tanta sicurezza da farmi dubitare che tu fossi rimasta vittima di pressioni
e di inganni. (…)
Ma l’Agenzia servizio informazioni
parlamentari insiste e il 1° agosto 1954 sul Popolo
di Roma si legge:
(...) Il Servizio Informazioni
Parlamentari ha (...) confermato ieri ancora una volta quanto ebbe a diramare
e, cioè, che la domanda di grazia a favore del direttore del settimanale
Candido è in corso di istruzione. "È chiaro - dice l’agenzia
– che essendo in fase di istruzione la domanda di grazia diretta al Capo
dello Stato tramite la Procura di Parma e da questa per competenza inviata
alla Procura Generale di Milano, è stata presa in considerazione
perché redatta e sottoscritta secondo le tassative disposizioni
in materia, sancite dall’Art. 595 del Codice di Procedura Penale. Essendo
l’istruzione ammantata del segreto d’ufficio, il Servizio Informazioni
Parlamentari si riserva di dare successivamente tutti i particolari atti
a confermare l’esattezza della notizia pubblicata. Sta di fatto che, qualora
la grazia venisse concessa, Giovanni Guareschi che comunque non ha sottoscritto
la domanda stessa, non potrà in alcun modo ricusarla, poiché,
come ogni atto di clemenza, non può essere rifiutata".
Nessuna notizia stampa fino
al 19 agosto 1954 quando, improvvisamente, muore De Gasperi. Nostro padre
che proprio in quei giorni ha vinto il "Premio Bancarella" con Don Camillo
e il suo gregge, scrive nella lettera dal carcere
del 20 agosto:
(...) Il "Premio Bancarella"
mi ha colmato di soddisfazione: e tu puoi bene immaginare il perché!
Mi ha invece rattristato la morte improvvisa di quel poveretto. Io, alla
mia uscita, avrei voluto trovarlo sano e potentissimo come l’avevo lasciato:
ma inchiniamoci ai Decreti del Padreterno.
In quell’occasione su tutti
i giornali compare la notizia d’agenzia che De Gasperi, prima di morire,
aveva perdonato nostro padre; riportiamo quanto scrive il 26 agosto 1954
L’Eco di Bergamo:
"ROMA, 25 notte. – (...)
si apprende che Alcide De Gasperi, prima di morire, ha perdonato a Giovannino
Guareschi. Egli, infatti, il 28 luglio scorso, poche ore prima della sua
partenza per il Trentino, tramite il Commissario di P. S. addetto a Montecitorio,
ha inviato la seguente lettera alla Procura della Repubblica di Roma: "Preso
atto che la Procura della Repubblica di Roma mi fa comunicare che è
stata presentata nell'interesse di Giovanni Guareschi, condannato per diffamazione,
domanda di grazia, e che la stessa Procura mi fa chiedere, come parte lesa,
se intenda, per quanto mi riguarda, concedere il perdono al condannato
suddetto, nel presupposto e nella certezza che l’atto di grazia non possa
né debba in alcun modo infirmare la validità della condanna
per diffamazione, né lasciar sorgere il minimo equivoco circa la
verità risultata dal processo, dichiaro che non ho nessuna difficoltà
a rispondere affermativamente alla domanda rivoltami dalla Procura. - Alcide
De Gasperi." La lettera chiarisce i termini della vicenda: sollecitato
in via ufficiale e formale il suo perdono, onde consentire che potesse
essere graziato l’uomo che era stato condannato per diffamazione contro
di lui nel noto processo, l’ex-presidente del Consiglio non aveva esitato
ad aderire all’invito, ispirato da sentimenti di cristiana bontà
(...). Ma chi aveva avanzato la domanda di grazia? Nella sua richiesta
la Procura della Repubblica non aveva precisato il nome del firmatario
che secondo l’art. 595 del cod. di Procedura Penale, deve essere il condannato
stesso oppure un suo stretto parente. Avuto il perdono della parte lesa,
la pratica viene inoltrata, poi, al Presidente della Repubblica al cui
giudizio discrezionale spetta, secondo la Costituzione, il potere di concedere
o meno la grazia. Si è successivamente saputo che la domanda era
stata, invece, presentata da tre privati cittadini, non legati da alcuna
parentela con Guareschi, e non si capisce, quindi, come non sia stata respinta,
perché improponibile e sia stato istruito il relativo procedimento.
Resta, comunque, indipendentemente dalle conseguenze pratiche che può
avere, il valore umano e morale del gesto di chi aveva chiesto ai Tribunali
la tutela della sua onorabilità.
In pratica non importa che la
pratica sia irregolare, non importa che nostro padre non abbia chiesto
né grazia né perdono: quello che conta è di far risaltare
"il valore umano e morale del gesto" della parte lesa. Ma due voci si dissociano;
la prima è di Vincenzo Caputo che il 28 agosto scrive
al direttore de La Patriadi
Milano:
Signor Direttore, Il
Messaggero prima e altri giornali poi hanno pubblicato che il 28 luglio
u.s. l’on. de Gasperi, interpellato dal Procuratore della Repubblica, ebbe
a dichiarare, per iscritto, di essere pronto a "perdonare" Giovanni Guareschi.
Tale dichiarazione fu fatta – dicono i giornali – in relazione a una domanda
di grazia presentata nell’interesse del Guareschi. Gli stessi giornali
aggiungono però che "successivamente si venne a sapere che la domanda
di grazia non era stata avanzata da Guareschi o da un suo prossimo congiunto,
bensì da tre cittadini a lui non legati da vincolo di parentela,
per cui essa non poté aver ulteriore corso". Ora, è ben strano
che una istanza irregolare perché non rispondente alle norme dettate
dall’Art. 595 CPP sia stata accolta dal magistrato e regolarmente istruita
fino alla richiesta del consenso della parte lesa per essere subito dopo
dichiarata "improponibile". È chiaro che la istruzione della istanza
predetta non avrebbe dovuto aver luogo e non si capisce (o si capisce molto
bene!) per quale motivo si sia sentito il bisogno di considerare valida
la istanza fino al pronunciamento della parte lesa. Il tutto non appare
regolare e soprattutto pecca alquanto di slealtà il tentativo compiuto
da certa stampa di ingannare l’opinione pubblica sulle origini delle iniziative
per la grazia a Guareschi. In sostanza si è voluto far sapere a
tutti che De Gasperi aveva "perdonato Guareschi". Ma questo "perdono volontario"
è fuori di luogo (...). Guareschi non ha sollecitato – mi pare –
alcun perdono: egli ha rinunziato al ricorso in appello, ha rinunziato
ad avvalersi di tutte quelle vie che la legge gli offriva per cercare di
sfuggire alla pena inflittagli, è entrato in carcere e sta scontando
la pena senza alcuna rimostranza, né ha mai avanzato domanda di
grazia al Capo dello Stato. Forte com’è delle sue ragioni, Guareschi
ha difeso fieramente la propria dignità di galantuomo e di giornalista.
Che bisogno c’era dunque del perdono di De Gasperi? Che bisogno c’era di
dar tanta pubblicità allo sviluppo di una iniziativa sconosciuta
all’interessato e condotta, per giunta, in modo giuridicamente irregolare?
(...) Non è leale che si tenti di screditare l’onorabilità
e il prestigio di un uomo, che peraltro non può difendersi (...)
L’altra voce discordante è
quella di Benso Fini che il 2-3 settembre 1954 sul Corriere
Lombardo di Milano scrive:
(...) Ieri si servì
pessimamente il buon nome di De Gasperi vivente tentando di fornire attraverso
una serie interminabile di rocambolesche operazioni di polizia quella prova
per cui sarebbero bastate una lente d’ingrandimento e mezz’ora di tempo
diligentemente impiegato. Oggi, lo stesso sciocco zelo perseguita De Gasperi
morto (anche se altro vorrebbe essere il bersaglio) con la trovata propagandistica
di un perdono giudiziario che si risolve in maligna irrisione. Quest’ultimo
episodio è, in verità, troppo bizzarro perché si possa
tacerne. Si cominciò con la falsa notizia di una richiesta di grazia
presentata dalla signora Guareschi. (È destino che quasi tutto sia
falso in questa faccenda di falsi documenti). Invece l’iniziativa, presa
contro la ben nota precisa volontà dell’interessato, proveniva da
persone bene intenzionate quanto assolutamente estranee a Guareschi ed
al suo ambiente familiare. Siccome l’Art. 595 del Codice di procedura penale
prescrive tassativamente che una domanda di grazia sia proponibile soltanto
quando reca la firma del condannato o di un suo prossimo congiunto, la
pratica avrebbe dovuto essere automaticamente archiviata. (...) La pratica
fu dunque istruita e portata avanti, com’è noto, sino al punto in
cui la Procura di Roma chiese nelle debite forme alla parte querelante,
cioè a De Gasperi, l’atto di perdono senza il quale la grazia non
avrebbe potuto essere accordata. Il perdono venne con una lettera di De
Gasperi (...). Allora, e soltanto allora, ci si accorse che la domanda
di grazia, non essendo stata presentata né dall’interessato né
da un suo congiunto, era improponibile a termini del suddetto articolo
595 del Codice di procedura penale. Ergo: la pratica fu archiviata e Guareschi
rimase dietro le sbarre del carcere di San Francesco. Di tutto questo (perdono
di De Gasperi e... successiva archiviazione della pratica) non si era saputo
niente fino alla morte dello statista. È evidente che De Gasperi
non aveva voluto dare pubblicità ad un gesto rimasto del tutto gratuito
e che pertanto poteva aver sapore di ironia. A tale pubblicità hanno
pensato invece i suoi postumi maldestri zelatori. La lettera è stata
data alle stampe con ampio corredo di commenti ispirati, s’intende, a indignazione
per la nequizia di Guareschi e a edificazione per la generosità
dell’offeso. Così nulla manca ormai più al quadro che si
voleva ottenere: Guareschi bollato e condannato, Guareschi generosamente
perdonato agli effetti di una grazia da lui non richiesta. E, dopo questo,
Guareschi più che mai in prigione.
In quella occasione nostro padre
commenta (settembre 1954) sul quaderno del carcere
n. 2:
Lo zelo dei servi sciocchi
danneggia i padroni da vivi e da morti. Quale misera, gelida e acida lettera
quella pubblicata dai giornali! E come diventa ora chiaro il significato
del giochetto combinato dall’agenzia che pubblicò la falsa notizia
della domanda di grazia che io mai inoltrai né mai inoltrerò.
Perché, io mi domando, non mi lasciano tranquillo? Possibile che
io dia a questa gente tanto fastidio anche ora ch’io son qui chiuso tra
le mura di un carcere? (…)
Una domanda che condividiamo
appare in un trafiletto del 25 settembre 1954 sulla Gazzetta
di Parma:
Roma, 24 settembre. – L’on.
Bruno Castellarin, del gruppo socialdemocratico, ha presentato un’interrogazione
al ministro della Giustizia, per sapere per quale motivo la Procura della
Repubblica di Roma istruì la domanda di grazia del signor Giovanni
Guareschi sebbene fosse improponibile in quanto la domanda non era presentata
né dall’interessato né dai suoi prossimi congiunti. L’on.
Castellarin chiede in particolare al Ministro "se non ritenga opportuno
chiarire l’eventuale mancanza di buona fede di qualche funzionario".
Non sappiamo se questa interrogazione
abbia avuto una risposta e concludiamo con il riassunto della vicenda fatto
su Candido quindici mesi dopo dal libero vigilato Giovannino Guareschi
nella "Lettera al Ministro di Grazia e Giustizia" dell’8 novembre 1955:
Io mi trovavo, da poco
più di in mese, ospite delle Galere Democratiche quando lessi sui
giornali governativi (erano gli unici che mi era concesso di leggere) una
raccapricciante notizia: la Procura di Roma stava istruendo la pratica
riguardante la concessione della grazia al detenuto Guareschi. E, ben sapendo
come, per la concessione della grazia, sia necessario il perdono della
parte lesa, la stessa procura aveva interpellato, appunto, la parte lesa.
E il "Fu" aveva risposto che era disposto a concedere il perdono purché
rimanesse chiaramente stabilito che io ero un fior di mascalzone. Naturalmente
la stampa governativa e paragovernativa levò urla di ammirazione:
l’Immenso, nella sua magnanimità, aveva perdonato al serpe diffamatore.
E, ritenendo suo dovere spiegare alla plebe come fossero andate le cose
e sapendo che la domanda di grazia può essere inoltrata esclusivamente
dal condannato o dai suoi familiari, la stessa stampa governativa e paragovernativa
scrisse che la domanda era stata inoltrata dalla moglie del detenuto. Fortunatamente
la Vedova Provvisoria passò subito al contrattacco ristabilendo
la verità: non aveva chiesto la grazia né l’avrebbe mai chiesta.
E allora l’Autorità competente comunicò alla stampa che la
pratica riguardante la grazia a favore del detenuto Guareschi non poteva
essere istruita in quanto la Legge stabilisce che solo il condannato o
i suoi familiari possono inoltrare domanda di grazia. Il tutto dopo aver
istruita la pratica fino al punto di ottenere clamorosamente dalla parte
lesa il perdono per il condannato. Eccellenza: fu una storia disgustosa.
E fu anche una meschinità perché io ero in galera, nell’impossibilità
di difendermi: un poveretto solo, legato e imbavagliato contro la torma
rabbiosa e urlante dei gazzettieri governativi! E il pennellino del signor
Direttore (...) copriva spietatamente d’impenetrabile inchiostro di Cina
ogni mia parola, delle mie lettere a casa, che non risultasse rigidamente
regolamentare. (...)
Ma passiamo a
settembre-dicembre:
"indulti" e motu proprio del Presidente. |