INDULTI E "MOTU PROPRIO" DEL PRESIDENTE

Cronaca dei fatti

1954: UN BRINDISI

Abbiamo parlato di una "grazia" fasulla e di un non richiesto "perdono" di De Gasperi del 1954 anticipando la notizia di una nuova "grazia" che sta arrivando tra capo e collo al "perdonato". Prima di iniziare, però, vogliamo fare una breve cronaca di un "brindisi" fatto quell’anno e di cui non si è più parlato da allora.
L’11 luglio "Candido" pubblica una lettera aperta di Indro Montanelli a nostro padre:

Caro Guareschi, tornando ora dalla Grecia, ho saputo che alcuni imbecilli di Bagutta hanno brindato al tuo incarceramento. Me ne vergogno per loro. Io non ti ho mai scritto durante il processo, né dopo la tua condanna, né ho preso pubblicamente la parte tua per una ragione semplicissima e che ti confesso con estrema franchezza: perché ero, e sono, convinto che i documenti fossero falsi. Lo dissi alla tua segretaria e la pregai di riferirtelo: spero che lo abbia fatto. Mi preme però subito aggiungere che, fra l’uomo Guareschi e l’uomo De Gasperi, ero, e rimango, per l’uomo Guareschi, anche se nel caso specifico ha sbagliato. (...) In precedenza il "Candido" del 27 giugno aveva pubblicato la cronaca di quel brindisi: (...) L'altra sera, da "Bagutta", la nota trattoria toscano-milanese, tra i molti convitati ad una cena offerta da due editori fiorentini, c’era un celebre poeta. Il poeta, chissà perché, parlava male di Guareschi dall’inizio della cena (...). Parlava, parlava. Delle tirature di quei maledetti libri, della ignoranza della gente. Diceva che era andato in Francia, che gli avevano chiesto di parlare di Guareschi e lui non ne aveva parlato per carità patria. S’arrabbiava sempre più. "Io ne ho letto solo qualche pagina", ha detto, "ma Guareschi mi pare un genio, un genio dell'imbecillità". Passava là vicino un illustre pittore (..). S’è fermato, ha chiesto: "Guareschi, un genio?" Non aveva capito bene. "Un genio dell'imbecillità ", ha chiarito il poeta (...). Il pittore ha preso un bicchiere pieno, lo ha sollevato in un brindisi: "A Guareschi in galera!" ha detto forte. C'era tanta gente a quella cena e c’è stato un certo impaccio tra i presenti. Solo il poeta ed un dirigente della radio-televisione hanno annuito, convinti. (...) Il poeta, Eugenio Montale, il pittore Gianfilippo Usellini, il dirigente della R.A.I. Sergio Pugliese. La lettera di Montanelli ha un seguito che il 20 agosto 1954 Leo Longanesi ospita sul "Borghese": Caro Longanesi, ho ricevuto da Enrico Lupinacci la lettera che qui allego e che ti prego di pubblicare con la relativa risposta:

"Roma, martedì 27 luglio 1954. "Gli 'alcuni’ ai quali, secondo quanto mi viene detto, ti riferisci in questa tua lettera a Guareschi che leggo con due settimane di ritardo, non furono i soli, Montanelli; tengo a comunicarti che il tuo ‘imbecilli’ nella sua missione, tocca anche i miei porti. Ho brindato anch'io, semplicemente e modestamente, alla giustizia, che non esiste soltanto per essere criticata. Un uomo pubblico ha le responsabilità della propria funzione, come ne gode i prestigi. Ma tu non trovi grave la responsabilità di una diffamazione compiuta (l'alternativa non è evitabile) o per malafede se si è compresa la falsità delle 'prove', o, se nonostante la flagrante puerilità d'un falso consu en fil blanc vi si è creduto, per stupidità. Enrico Lupinacci".

Caro Lupinacci, spero che non ti avrai a male se, invece che in privato, ti rispondo pubblicamente trasmettendo al "Borghese" sia la lettera tua che la replica mia. L'argomento è d'interesse generale, e la nostra polemica può servire a chiarire le cose nel cervello di molti lettori. Mandai a "Candido" una lettera di solidarietà con Guareschi quando mi dissero che a "Bagutta" si era brindato al suo imprigionamento. Chi fosse stato a farlo, non lo sapevo. Solo da te apprendo che foste tu e Montale. Me ne dispiace perché si tratta di due amici che stimo. Ma purtroppo non mi sento di ritirare quanto ho detto nell'ignoranza di chi ne sarebbe stato bersaglio. Si può, a mio avviso, dissentire da un collega, e io stesso, nel caso specifico, ne ho dissentito, ma non si può brindare alla sua andata in galera nemmeno presentandola come un "trionfo della Giustizia". (...) Finché è lì dentro, egli per me è l'uomo che per primo, più risolutamente e più coraggiosamente di ogni altro, nel momento più pericoloso, ha segnato la riscossa di certi valori nazionali, ai quali ha reso servigi molto più grandi di quelli che abbiamo reso tu, Montale ed io, caro Lupinacci. Io me ne ricordo. Tu e Montale, no: ecco la differenza. (...)
 
 

Enrico Lupinacci invierà una successiva lunga lettera che il "Borghese" ospiterà e che non pubblichiamo ma che può essere letta nel nostro piccolo centro studi assieme ai brani delle varie citazioni che abbiamo sostituito con il segno (...) perché erano poco "austeri" nei confronti dei personaggi citati.
 



TROPPA GRAZIA

E adesso parliamo della nuova "grazia". Nostro padre, nella sua già citata "Lettera al Ministro di Grazia e Giustizia" dell’8 novembre 1955 scriverà:

La disgustosa storia (della domanda di grazia fasulla e dell’inutile perdono di De Gasperi, N.d.R.) non si esaurì in questo squallido episodio perché i gazzettieri governativi trovarono tutti i pretesti per ritornare sulla faccenda della grazia fino ad arrivare, in extremis, alla spassosissima invenzione della probabile grazia motu proprio. (...) Infatti il 17 settembre 1954 l’Agenzia "L’Italia d’Oggi" dà notizia di un probabile "Provvedimento di clemenza" del Capo dello Stato nei confronti di nostro padre: Il Segretario Generale della Presidenza della Repubblica ha informato con una lettera (...) il Presidente Nazionale della Associazione Nazionalista Italiana che la richiesta da questi avanzata al Capo dello Stato per l’applicazione dell’istituto della grazia presidenziale nei confronti di Giovanni Guareschi, è stata immediatamente inoltrata al Ministero di grazia e giustizia per la più sollecita istruzione.. Il Capo dello Stato è Luigi Einaudi, per il vilipendio del quale nostro padre venne condannato in appello nel 1951 – con la condizionale - a otto mesi assieme a Carlo Manzoni. Questo provvedimento di clemenza avrebbe quindi un significato particolare. Pare che la pratica stia facendo rapidi progressi e il 28 settembre l’Agenzia "L’Informazione" di Roma scrive: Prossima la scarcerazione di Guareschi. La pratica per la liberazione preventiva di Giovannino Guareschi (...) sta facendo rapidi progressi, tanto che negli ambienti forensi si prevede che il direttore di "Candido" potrà ritornare in seno alla famiglia anche prima delle feste natalizie. Attualmente la pratica attende di essere completata dal parere dell’autorità giudiziaria di Milano. Il parere dell’"autorità giudiziaria di Milano" ce lo rivela lo stesso giorno l’Agenzia ANSA: La condizionale applicata a Giovanni Guareschi per la condanna ad otto mesi di reclusione riportata l’anno scorso per "offese al prestigio del Capo dello Stato" è stata revocata. Di conseguenza Guareschi, attualmente detenuto nelle carceri di Parma, dovrà scontare anche la pena relativa al precedente processo. La decisione è stata presa stamane dalla terza sezione del Tribunale penale riunita in camera di consiglio sotto la presidenza del dottor Pennasilico, che ha emesso l’ordinanza relativa. I difensori avv. Porzio e Lener hanno dichiarato che quando l’ordinanza diverrà esecutiva, cioè subito dopo la notifica al condannato, interporranno ricorso in appello perché alla sentenza che è stata revocata la condizionale venga applicato il condono previsto dalle disposizione di legge sulla recente amnistia. La "grazia" è arrivata e va a fare il pari con quella di De Gasperi.

La notizia che i suoi avvocati difensori vogliono ricorrere in appello contro la decisione del Tribunale di revocargli la condizionale per la pena Einaudi non trova però d’accordo nostro padre, come informa il quotidiano cattolico "L’Italia" il 6 ottobre 1954:

Giovanni Guareschi resterà in carcere fino al 26 gennaio 1956. Non intende presentare appello alla recente sentenza con cui gli è stato dato praticamente un "supplemento" di altri otto mesi; e non autorizza nessun avvocato a farlo a suo nome. (...) Appresa dai giornali la notizia che il Tribunale di Milano gli aveva revocata la condizionale accordatagli in occasione della condanna per offese al Capo dello Stato, egli ha (...) inviato la seguente lettera al Procuratore della Repubblica di Milano: "Apprendo dalla stampa di ieri che il 28 settembre corrente la III Sezione Penale del tribunale di Milano ha revocato la sospensione condizionale di mesi 8 di reclusione inflittami, a suo tempo, per offese al prestigio di S. E. Luigi Einaudi. Dichiaro di accettare la decisione della III Sezione Penale del Tribunale di Milano e dichiaro di rinunciare a presentare domanda di Appello. Non essendo io stato interrogato per rogatoria, né avendo io avuto modo di designare, a mezzo Modello 13, i miei difensori, nego a chicchessia il diritto di presentare a mio nome domanda di Appello. Prego la S. V. Ill. ma di prendere buona nota di questa mia decisione irrevocabile e mi riservo di ripetere la presente istanza il giorno in cui mi verrà notificata la sentenza. La presente dichiarazione viene oggi da me resa alla S. V. Ill. ma, ma solo in quanto i giornali hanno pubblicato essere mia intenzione inoltrare domanda di Appello. Con osservanza Giovannino Guareschi". (...). Perché non vuole ricorrere in appello? Lo spiega in una lettera ad Alessandro Minardi che, assieme a Carlo Manzoni, manda avanti il "Candido" in sua assenza: Ti prego di comunicare a Lener e Porzio (i suoi avvocati difensori, N.d.R.) quanto segue:

No, niente appello!

1) Io non sono stato interrogato per rogatoria, com’era mio preciso diritto, da alcun Magistrato.

2) Nessuno mi ha notificato il procedimento a mio carico.

3) Io non ho compilato nessun Modello 13 e non ho designato nessun difensore di fiducia per il procedimento del Nebiolo.

4) Lener e Porzio, ai quali va tutta la mia amicizia e la mia stima, di fronte alla Legge non sono miei avvocati di fiducia in quanto non li ho designati per questo procedimento.

La decisione del Tribunale è illegale. Non la accetto. La subisco.
 
 

Nel frattempo si continua a parlare di motu proprio del Capo dello Stato. Leggiamo infatti sulla "Gazzetta del Popolo" (Torino) del 29 settembre 1954: Guareschi deve scontare anche la prima condanna. (…) Non rimane pertanto che (…) un provvedimento motu proprio del Capo dello Stato il quale conceda la grazia di sua iniziativa. In questo caso il Guareschi, volente o nolente, dovrebbe andarsene dalle carceri di Parma che non sarebbero più autorizzate a trattenerlo. Si sa che a questo scopo un gruppo di personalità che non sono spiccatamente politiche, si adoprerebbero per far giungere fino a Einaudi il voto – dicono essi – della pubblica opinione. La quale gradirebbe che il Guareschi tornasse in libertà per molte considerazioni, ma soprattutto perché in un paese come il nostro in cui anche per ragioni di pacificazione sociale, tra amnistie indulti e altri atti di clemenza se la son cavata con due anni di reclusione persino gli uccisori dell’intera famiglia dei conti Manzoni, è semplicemente paradossale che un reato di pensiero sia punito in quella misura. La clemenza presidenziale si ritiene tanto più probabile in quanto la condanna a otto mesi di reclusione nei confronti della quale è venuto meno ora il beneficio della condizionale, riguardò proprio la personalità di Luigi Einaudi, offesa dalla nota vignetta. E il Presidente della Repubblica, a suo tempo, non mancò – si dice – di esprimere il suo dolore perché dal modesto episodio fosse derivata, appunto, una condanna. La "clemenza presidenziale" di Luigi Einaudi potrebbe dimostrare l’autenticità del "suo dolore" per la condanna e nostro padre dovrebbe, volente o nolente, sloggiare dal carcere. Indro Montanelli lo stesso giorno gli scrive una lettera che viene resa pubblica per la prima volta il 23 aprile 1998 nelle memorie di Alessandro Minardi uscite postume a puntate su "L’Uomo Qualunque": Caro Giovannino (...) l’inverno ha bussato alle nostre porte con un tornado di vento e la notizia dell’aggravamento della tua pena. Ne ho parlato a lungo con Rosanna (Manca di Villahermosa, preziosa segretaria di redazione del "Candido", N.d.R.) e con Minardi e domattina andrò a parlare con Lener (Michele, avvocato difensore di nostro padre assieme a Vincenzo Porzio, N.d.R.), cui voglio mostrare quello che intendo pubblicare sul "Borghese". Leggiamo il pezzo di Montanelli pubblicato sul "Borghese" il 6 ottobre 1954 con la firma"Adolfo Coltano" e col titolo "Ahimè, non c’era". Signor presidente, leggo sul giornale che i competenti organi della nostra magistratura hanno deciso di revocare la condizionale della pena che aveva colpito Giovanni Guareschi in seguito al processo per l’affare del Nebiolo, portando così i mesi di carcere per il detenuto da dodici a venti. Guareschi può sentirsi molto fiero di aver dato il suo nome all’unico caso, che si sia verificato in Italia dal ’44 in poi, di sentenza eseguita, di pena inflitta e effettivamente scontata, senza amnistie, senza condoni, senza attenuanti, per reati di stampa. In questo periodo in cui si mettono in libertà i massacratori della famiglia Manzoni e non si ricerca nemmeno quelli dell’ingegner Codecà, finalmente un esempio di severità ci voleva, e lo si è scelto, giova riconoscere, con giudizio, ai danni di uno scrittore in favore del quale non c’è da temere che le piazze insorgano. (...) Ed è quindi con una certa ansietà che, letta la notizia dell’aggravamento di pena inflitto a Giovanni Guareschi, abbiamo continuato a scorrere il giornale alla ricerca di una sua parola in proposito: ossequiosa verso la legge, sì, ma almeno un po’ reticente circa l’applicazione che se n’è fatta nel caso specifico. Ahimè, non c’era. Certo una dimenticanza, signor presidente, ma cui occorre rimediare al più presto perché cessino certe insinuazioni lesive del suo onore e, se ci permette, del nostro. Onore a cui non potremmo mai più appellarci se venisse dal suo perdurante silenzio documentato che lo scrupolo della libertà di stampa insorge nei nostri petti solo quando si attenta a quella di chi diffama l’esercito italiano e ha dalla sua il favore delle piazze e degli squadristi rossi. (...). Qualche giorno dopo si comincia a parlare di probabile "condono d’autorità" che non potrà essere rifiutato. Il 12 ottobre 1954 "Momento Sera" scrive: Il condono forse concesso a Guareschi. La pratica per la concessione del condono degli otto mesi di carcere che Giovanni Guareschi dovrebbe scontare oltre alla condanna a un anno inflittagli nell’aprile scorso prosegue regolarmente il suo corso. La lettera indirizzata dal Direttore di Candido al Procuratore della Repubblica di Milano per rinunciare all’appello contro la revoca della condizionale decisa dal Tribunale, non ha infatti alcuna efficacia circa la concessione o meno del condono su cui la magistratura deciderà indipendentemente dall’opposizione dell’interessato. Questo è quanto ci è stato confermato da parte dei magistrati e dall’avv. Morigi interpellato. Il condono, se un condannato ne ha diritto, viene applicato automaticamente e non può essere rifiutato. (...) la pratica per la concessione del condono degli otto mesi è giunta in questi giorni davanti alla Procura Generale che, esaminato il caso, esprimerà il suo parere. Successivamente, sulla base del giudizio formulato dalla Procura Generale, deciderà il giudice che ha emesso la sentenza e in questo caso la Corte d’Appello di Milano. Se, come tutto lascia credere, la Corte d’Appello emetterà il decreto di condono, Giovanni Guareschi lascerà il carcere il 25 maggio 1955 non appena, cioè, avrà scontato la condanna inflittagli nell’aprile scorso, per diffamazione nel confronti dell’on. De Gasperi. Il 29 ottobre Indro Montanelli scrive sul "Borghese" una seconda lettera aperta al Presidente della Repubblica: Signor Presidente, giorni fa, sulle colonne di questo giornale, io, sottoscritto, indirizzai una lettera al supremo rappresentante dell’Associazione giornalisti per ricordargli che Giovanni Guareschi, unico italiano imprigionato per reati di stampa, stava per essere colpito da una seconda condanna di altri otto mesi; e per chiedergli non dico di mostrare verso di lui la stessa rumorosa sollecitudine che la nostra Associazione aveva mostrato per Renzi e Aristarco, ma di provare alla pubblica opinione ch’egli gode ancora di tutta l’affettuosa simpatia dei colleghi. Non mi risulta che l’invito sia stato preso in considerazione. (...) non mi resta quindi, signor Presidente, che rivolgermi direttamente a Lei per la concessione di una grazia che è nei Suoi poteri, anche se il condannato non la chiede. Lei, signor Presidente, è prossimo alla chiusura del Suo settenato, e tutti sappiamo che non vuole rinnovarlo. A noi, personalmente, piacerebbe molto di vederglielo concludere con un gesto di clemenza, che sarebbe tanto più apprezzato in quanto è proprio per un’offesa fatta a Lei che a Guareschi si sta per prolungare la pena. Non creda, signor Presidente, che io mi sia deciso a questo passo perché condivido al cento per cento le opinioni e i sentimenti di Guareschi. Al contrario: ho avuto con lui una polemica pubblica e parecchie private. (...)Se vuol proprio sapere tutta la verità, Le dirò anche che non completamente approvo Don Camillo, non già per i suoi meriti in sé, che mi sembrano eccellenti e mi pare che lo qualifichino alla stessa longevità di Rabelais e di Bertoldo, ma perché quel modo di presentare Peppone e i comunisti, vero o arbitrario che sia, mi sembra controproducente. E infine debbo confessare che, nella famosa questione dei documenti, ritengo ch’egli abbia avuto torto. Anzi, il giorno in cui si aprì il processo, per Guareschi tremai. Tremai, perché mi sembrava evidente quel che De Gasperi avrebbe fatto. Senza dubbio egli avrebbe dimostrato la falsità delle lettere che Candido gli aveva attribuite. E, una volta raggiuntane la prova, avrebbe rimesso la querela e teso la mano all’imputato in un gesto di perdono e di riconciliazione che lo avrebbe annientato. Chi fu, quella mattina, che salvò Guareschi da tanta umiliazione? Non lo so. So soltanto che avvenne esattamente il contrario di quanto avevo preveduto e paventato. De Gasperi non raggiunse nessuna prova solare, si contentò solo di un frettoloso surrogato, che lasciò molti dubbi nell’animo di molta gente, compreso il sottoscritto che prima non ne aveva punti. E, invece di tendere la mano, pronunciò una frase improntata più a spirito di dispetto che a spirito cristiano: "In galera, io ci sono stato. Ora ci può andare anche lui!…" o qualcosa di simile. Signor Presidente, quel giorno io, come italiano, come italiano che aveva sempre votato per De Gasperi considerandolo, malgrado tutto, il migliore dei nostri possibili rappresentanti, mi sentii avvilito. (...)Ma Lei, signor Presidente, Lei che, come piemontese, è italiano, per Sua fortuna, soltanto a mezzo, Lei che ora ha a portata di mano un’occasione che sembra fatta apposta per concludere in bellezza il Suo settenato (...): Lei se la lascerà scappare? Non ci possiamo, non ci vogliamo credere. Alla Sua età, signor Presidente, e con un passato come il Suo, e con un’esperienza come la Sua, gli uomini non si giudicano più e ancora si condannano, per un solo gesto. Tutti commettiamo, o possiamo commettere un errore: quello di scrivere un articolo sbagliato, per esempio, o quello di mettere al mondo un figlio comunista. Questo è più involontario di quello, siamo d’accordo: ma richiede, per essere perdonato, una dose ancora più massiccia d’indulgenza. Non lesiniamocene dunque fra noi. E, poiché Lei è il supremo Capo, dia il supremo esempio. Noi lo attendiamo con rispettosa fiducia. (...) Il 10 novembre 1954 Vincenzo Caputo, presidente dell’Associazione Nazionalista Italiana indirizza a Leo Longanesi questa lettera aperta sulla "Nuova Sardegna": Signor direttore, "Il Borghese" ha recentemente pubblicato, a firma Adolfo Coltano, una lettera aperta al Presidente della Repubblica con la quale si chiedeva alla Suprema Autorità dello Stato di intervenire con un provvedimento motu proprio per la concessione della grazia a Giovanni Guareschi. La lettera del Sig. Coltano è indice dello stato d’animo dell’opinione pubblica nei riguardi della condanna di Guareschi e prova come l’attesa di un intervento presidenziale, valevole a por termine - fuori delle polemiche sollevate dal singolare processo di Milano - alle umiliazioni di un onesto giornalista, il quale ha saputo con grande fermezza difendere la propria dignità professionale, sia assai diffusa. Dobbiamo però constatare con profonda amarezza che tale attesa è rimasta delusa. E val la pena di ricordare che nello scorso settembre il segretario generale della Presidenza della Repubblica ebbe a comunicare, per lettera, a me direttamente che la procedura per un provvedimento di clemenza in favore del direttore di Candido era stata, in seguito alle mie ripetute premure, sollecitamente aperta con la trasmissione della relativa richiesta di parere al Ministro di Grazia e Giustizia, ciò che logicamente lasciava prevedere una prossima favorevole decisione. Non è stato pertanto senza meraviglia che ho appreso in questi giorni una "notizia" (che spero sempre non sia fondata), secondo la quale il Presidente della Repubblica si troverebbe nella impossibilità di esercitare, nei confronti di Guareschi, la sovrana facoltà di grazia, conferitagli dalla Costituzione, avendo il Ministro Guardasigilli espresso parere contrario. Se la notizia è vera, essa non può non destare penosa impressione nell’opinione pubblica. Allorquando - nella scorsa estate - fu istruita una non ben definita domanda di grazia - risultata poi improponibile per insufficienza giuridica - ci fu detto che in merito alla medesima si era avuto oltre che il consenso della parte lesa (De Gasperi), anche il parere favorevole della competente autorità giudiziaria. Non si può quindi comprendere perché ciò che alcuni mesi fa sembrava giusto al magistrato oggi non lo sembri più, quando nulla è mutato nel caso in esame, tranne la natura della iniziativa per il provvedimento di clemenza proposto, che prima non aveva fondamento legale, mentre oggi lo ha trattandosi di intervento motu proprio del Capo dello Stato. È spiacevole dover constatare che in fondo a tutta la questione manca, evidentemente, la base della buona fede ed è cosa più che palese che in proposito si proceda col vizio della insincerità e della slealtà. È sperabile - poiché possibile - che il Presidente della Repubblica, che è uomo di alta rettitudine, ponga ad ogni speculazione e ad ogni penosa polemica sul caso Guareschi, con un intervento autorevole da manifestarsi attraverso l’esercizio dell’istituto della grazia ciò che, del resto, è nel vivo desiderio di un gran numero di italiani. Siamo alla vigilia della scadenza del mandato presidenziale e Alberto Giovannini, il 4 aprile, scrive su "Tempo" di Roma: (...) io mi auguro (e con me se lo augurano milioni di italiani) ch’Egli voglia concludere il proprio settennato con un atto di clemenza, voglia cancellare questa macchia che, indipendentemente dalla sua volontà, è l’unica forse che getta una zona d’ombra sulla Sua Presidenza davvero ammirevole per equilibrio, fermezza e senso di responsabilità. Tanto più che un provvedimento del genere non potrebbe essere adottato dal Suo successore per ovvie ragioni di opportunità. Se la Legge non è uguale per tutti, facciamo almeno che la clemenza lo sia. Facciamo che Giovanni Guareschi possa essere libero, per i suoi "crimini", come gli assassini del conti Manzoni o come gli esecutori di don Pessina. Dimostriamo che nella Repubblica democratica italiana, la libertà di stampa è almeno pari alla libertà di omicidio. Giovanni Gronchi è il nuovo Presidente della Repubblica. Il 12 maggio 1955 l’"Italia" scrive: Il 26 maggio termina di scontare la pena per il processo De Gasperi e inizia quella per il "Nebiolo" - Guareschi uscirà presto dal carcere? - Potrebbe ottenere la liberazione condizionale - Meno probabile la grazia, ancora incerta la promulgazione di una nuova amnistia - Resta però in sospeso un ricorso presentato dai difensori per l’applicazione dell’ultimo indulto a favore del condannato. Si era diffusa ieri nella nostra città la notizia che Giovannino Guareschi avrebbe forse ottenuto la libertà a brevissima scadenza in virtù di un provvedimento di grazia adottato - in extremis - da Luigi Einaudi. Il provvedimento non è venuto. Giovanni Gronchi ha sostituito Luigi Einaudi sul seggio presidenziale senza che il provvedimento di grazia sia stato promulgato. Vorrà il nuovo Capo dello Stato compiere quel gesto che ragioni di varia natura non hanno consentito al suo predecessore? Il 28 maggio 1955 Vincenzo Caputo - presidente dell’Associazione Nazionalista Italiana – in una Lettera al direttore sulla "Voce della Giustizia", fa il punto della situazione: "Signor direttore, il prof. Einaudi ha lasciato il Quirinale senza aver firmato la grazia per Guareschi. (...) In generale si riteneva che il Presidente avrebbe chiuso con tale atto il suo settennato. Ciò invece non è avvenuto e, se ora io mi permetto di chiedere la Sua cortese ospitalità, egregio direttore, lo faccio appunto per esprimere la mia sorpresa: ero infatti più di tutti convinto che la onestà di Luigi Einaudi si sarebbe manifestata, sia pure all’ultimo momento, vincendo gli ostacoli di varia provenienza. Debbo aggiungere che la mia attesa era particolarmente giustificata, poiché già da tempo la Presidenza della Repubblica, rispondendo alle numerose sollecitazioni da me avanzate sia a titolo personale che a nome della Associazione Nazionalista Italiana, m’aveva assicurato che la pratica relativa ad un provvedimento di clemenza per Guareschi era in corso di istruzione. Ma poiché la grazia non è venuta e poiché da più parti si tenta di accreditare la voce secondo la quale il Capo dello Stato non avrebbe potuto concedere la grazia stessa senza una specifica istanza dell’interessato, dei suoi familiari o dei suoi difensori, desidero chiarire che ciò non risponde al vero, essendo i poteri dei Presidente della Repubblica per la concessione di grazie illimitati ed avendo egli sempre la facoltà di intervenire con motu proprio. Al prof. Einaudi io avevo chiesto più volte che la questione – gravissima - della detenzione di Guareschi fosse risolta con un provvedimento di clemenza di iniziativa presidenziale (...). La mia richiesta - come ebbe occasione di scrivermi nello scorso settembre il segretario generale della Presidenza della Repubblica dott. Picella - fu immediatamente passata al Ministero di Grazia e Giustizia per il parere di competenza. Più tardi, notizie giornalistiche fecero sapere che il parere del ministro non era stato favorevole. Non sappiamo se ciò sia vero, ma è bene tener presente che comunque il parere del ministro non può essere determinante in un caso come questo e non può vincolare la volontà dei Capo dello Stato, il cui motu proprio è pienamente autonomo e può esser emanato in qualsiasi momento con valore assoluto ed immediato. Tutto ciò premesso, dobbiamo amaramente concludere che il prof. Einaudi non ha voluto graziare Guareschi. (...).

Concludendo: il famoso "motu proprio" del Presidente va ad aggiungersi alla serie di "grazie" e "perdoni" e nostro padre, supergraziato e perdonato, rimane in carcere più che mai. Dobbiamo a questo punto fare una considerazione amara. Ci è stato riferito da più persone degne di fede che Luigi Einaudi avrebbe chiesto all’onorevole Pella di portare a pranzo nostro padre al Quirinale prima del processo per bendisporre, con questo loro incontro, la Corte che avrebbe dovuto giudicarlo. Si è parlato del dolore di Luigi Einaudi per la condanna di nostro padre e di un suo possibile interessamento per un atto di clemenza nei suoi confronti. Il risultato? Il famoso "invito" al Quirinale e il "gesto di clemenza" non vennero fatti e le buone intenzioni ebbero la destinazione che si meritavano.