Racconto vincitore a pari merito dell'edizione 2006
LA MEMORIA DEL VINO"
di Luciano Rossi
Il calzolaio di La Thuile, Monsieur Jean Baptiste, aveva
ottant'anni e fra di me lo chiamavo "zoccolaio". Non c'era
in ciò alcuna diminuzione della sua figura. C'era semplicemente
il ricordo del primo incontro, di quel battere, più sonoro
d'un paio di nacchere, dei legni di rovere scavato, induriti e scottati
al fuoco, e dell'eco degli schiocchi sulle pareti di pietra della
vecchia stalla, interrata e buia, adat-tata a calzoleria. Al laboratorio,
antro buio ed asciutto, si accede per una breve rampa inclinata con
schegge di pietra cementate in verticale per impedire alle vacche,
al rientro dal pascolo primaverile, di scivolare sul ghiaccio, bruno
di sterco ancora gelato. Margherite, ranuncoli e bucaneve già
colorano il prato, ed occhieggiano le prime vesce, mentre il gelo
permane nell'oscuro budello fra le baite. Nel labirinto delle stradine
selciate, tra mura di blocchi di granito malsquadrati e tetti di bèole
nere, la tarda primavera montana arriva improvvisa con l'alito tiepido
della brezza di valle, risucchiata dalla colonna d'aria riscaldata
dal sole sul Rutor abbacinante. Quando la corrente rinforza e ti accarezza
la barba, quello è il momento magico degli angeli del deltaplano
che risalgono in quota con ampie e lente spirali, prima di sparire,
sazi d'aria e di sole, planando verso i prati ampi e sicuri del Piccolo
San Bernardo.
Lo zoccolaio fu una scoperta d'un pomeriggio piovigginoso
nel tentativo di recuperare i vecchi scarpo-ni, sfiancati ma comodi,
senza esser costretto a scendere in valle per la riparazione. La rustica
noncuranza del vecchio contadino montanaro, dignitoso ma un po' brusco
verso il turista, mi parla in patois, lento e largo, o in un
francese asprigno, un aceto di dolcetto. Gli rispondo nella stessa
lingua. Ciò gli fa alzare gli occhi su di me arrestandosi nel
lavoro.
La luce gli piove direttamente sul viso inciso dalle rughe come in
un ritratto di Rembrandt, barba e baffi d'argento, e sul deschetto
ingombro di ritagli di cuoio e degli attrezzi. Pur indiretto, attraverso
un'apertura irregolare senza vetri, il fascio di sole è come
un faro potente nel buio dell'antro.
Al di là, si vedono passare i colori vivaci dei calzettoni
di lana dei rari turisti avviati alla mulattiera che rasenta la stalla,
verso il passo. La camminata è rapida, le chiacchiere allegre:
sono appena partiti...
"Ho scarpinato tanto in questi vecchi scarponi che mi dispiace
buttarli!"
Mi risponde serio:
"Le scarpe e i libri non si buttano, jamais: aiutano a passar
/ l'inverno che qui è ben lungo. Voyons..."
Martello, lesina, colla, spatola, legatura e infine stanno ancora
assieme, quelle vecchie barche di cuoio duro:
"Se non gli dai un po' di grasso, diventano d'osso!"
Nei lunghi intervalli di un dialogo scarno, rimane, sospesa, una strana
atmosfera; come se qualcosa deb-ba esser detta e non si riesca ad
illuminarla nella mente. Imprevedibilmente, anziché dalla mia
indiscre-zione cittadina, l'apertura arriva dall'asciutto riserbo
del montanaro:
"Vuoi vedere la vecchia stazione della Posta? È al
piano terra nella casa di famiglia. Ormai non ci abitiamo più
e per il restauro ci vorrebbe trop d'argent".
Il calzolaio è curvo, una coriacea robinia dalla corteccia
giallastra e rugosa. Si regge in equilibrio sui ciottoli sporgenti
del selciato aiutandosi col bastone, grosso e bitorzoluto di neri
nodi. Gli zoccoli imbot-titi di fieno, portati senza calze, lo fanno
sembrare ad una vecchia cicogna che vada cercando avanzi di cibo nell'orto
appena sotto il suo comignolo, con la paglia del nido ancora impigliata
nelle zampe. Una grossa chiave di ferro dolce, lisciata da generazioni
di mani forti, apre una porta borchiata e inclinata sui cardini che
lamentano, cigolando, decenni rugginosi e avarizia d'olio:
"Qui, sulle panche, si riposavano i viaggiatori e le madame
affaticate dal lungo viaggio verso il Piccolo San Bernardo. Di là
c'era la stalla col cambio dei cavalli. La cucina era al piano di
sopra. Ai viaggiatori si servivano le ruote di pane ammollato in acqua
e latte e rinvenuto in forno, con burro e fontina freschi, caffè
lungo a volontà, fette di polenta arrostita sulle braci e vinello
per i Messieurs."
"E non c' erano camere per gli ospiti, come a Bourg Saint Maurice?"
""Quella stazione non era gestita da valligiani. I cittadini
non hanno timor di Dio. Il nostro Curato ha sempre vietato le camere
ad ore per sconosciuti di passaggio."
All'interno, appese alle pareti, ci sono vecchie stampe e due selle
impolverate. Uno scaffale di tavole appena piallate regge un centinaio
di volumi, seminascosti da un telo di plastica.
"...Posso?" chiedo facendo il gesto di alzare la protezione.
"Sapevo che avrebbero attirato la tua attenzione. Tu connais
l'odeur des livres, tu conosci l'odore dei libri!"
Rabelais, Hugo, i Dumas, Petrarca, Dante, la Storia d'Italia del Guicciardini,
Voltaire, la biografia del Garibaldi mangiapreti del Balbiani (Il
Messia dei Popoli oppressi - Allighieri, 1872), i libri naturalistici
del De Saussure, e poi Rousseau, Descartes. Tutte edizioni dell'ottocento
ed alcune della seconda metà del settecento. I volumi sono
in ottimo stato e quasi tutti in pelle.
"Li ho rilegati io stesso. Qui un tempo non arrivavano gli
sciatori e gli inverni erano più lunghi. Non c'era la galleria
e, con le valanghe, a volte non si poteva per settimane scendere nella
vallée."
"Ma questo è un tesoro!"
"Per chi ha buon naso e occhi buoni. E li ho letti tutti,
tu sais. Alcuni di questi libri li so a memoria e posso rileggerli
nella mente. I vecchi dormono poco."
Lento, la voce trasformata, nitida e ferma, Monsieur Jean Baptiste
comincia a declamare l'inizio del ter-zo canto dell'Inferno poi, in
francese, la relazione della prima conquista del Monte Bianco.
Va da sé che nella casa che ci ospitava per le vacanze, ricercai
tutte le vecchie scarpe che giustificassero altre visite nei giorni
di maltempo o dopo le sgambate in montagna.
"Lascia perdere queste vecchie ciabatte. Vieni quando vuoi."
"Domani parto. La vacanza è finita!"
"Quando torni in città, puoi mandare i tuoi messaggi
a mia nipote che usa una diavoleria di oggi che chiama E-mail. Ne
riceve da tutto il mondo..."
Solo in questo aprile piovoso sono tornato alla vecchia stazione della
Posta. L'ultima neve di fondoval-le, gonfia d'acqua, si scioglie negli
anfratti d'ombra. Il prato è già d'un verde appena dipinto.
Sacchi di calce, cataste di mattoni e di beole per il tetto ingombrano
ora l'accesso. Un uomo magrissimo, gobbo e gozzuto, mi guarda obliquo
appoggiandosi al manico della falce che brilla al sole. Nella pace
del pome-riggio assolato tace anche il cicaleccio del pollaio e l'unico
rumore è lo stridere della cote sul filo slab-brato della lama
usurata. La stalla-laboratorio è chiusa da un grosso lucchetto
ossidato.
"E il calzolaio? Dov'è Monsieur Jean Baptiste?"
"Il est mort, l'inverno passato" mi dice il falciatore
senza togliere dalla bocca il mozzicone di sigaro to-scano. "Era
mio padre. Ora dovete scendere a Pré Saint Didier per le riparazioni."
"Mi dispiace..."
"C' est la vie!"
"E i suoi libri?"
"Oh! Li ha lasciati alla biblioteca comunale, ma per ora sono
in due casse. Spero che me li tolgano dai piedi, prima o poi. Di noi
figli diceva che non sappiamo distinguere l'odore dei libri da quello
del letame. Ma ormai era un po' svanito: sapete, l'età!"
"Se nessuno li ritira, verrei io a prenderli... Ne avrei cura."
"Ah! Allora forse valgono qualcosa. Oppure voi siete uno di
quelli che sentono l'odore dei libri? Se volete fare un giro... Ma
ormai abbiamo buttato via tutte le cianfrusaglie. I vecchi riempiono
la casa di stivali sfondati, di chiodi storti, di lucchetti senza
chiavi e di chiavi senza lucchetti. Io devo fare il fieno:fa in fretta
qui, a cambiare il tempo!"
Alle ultime case dell'abitato la notte è piena
e le stelle sono brillanti e fitte nonostante la luna ed il suo riflesso
sull'ampia distesa di ghiaccio del Rutor. Nella tasca della giacca
a vento, la mano che cerca le si-garette trova un foglio. Avevo scritta
quella poesia al parco di Monza, in un mattino di sole e di gelo,
contando gli anelli d'un platano ammalorato, abbattuto, denudato.
Non è allegra ma la manderà ugual-mente a Monsieur Jean
Baptiste. Capirà così che sono stato alla sua casa nuova
e... che ho incontrato suo figlio alla vecchia.
Lungo il viottolo erboso che porta al minuscolo cimitero, dietro la
chiesa, alla luce della torcia colgo le prime margherite e garofanini
di monte: i versi ne avvolgono gli steli. Il cancelletto del cimitero
è solo accostato. Cigola. Come la porta della vecchia stazione
di posta.
La tomba di Monsieur Jean Baptiste è segnata
da una pietra piatta di serizzo ghiandone, rugosa come lui. Ai piedi,
il vasetto di rame è colmo dell'ultima acqua piovana. La carta
si macera, i versi si aprono, le parole si sciolgono liberando le
lettere che, lentamente, penetrano nel terreno. Monsieur Jean Baptiste
sor-ride, si aggiusta gli occhiali sul naso, si arriccia i baffi in
quel suo gesto di concentrazione pensosa e, col movimento lento del
giocatore di scacchi, ricompone, divertito e con l'ironia della consapevolezza
della condizione umana, le parole umide, dall'inchiostro sbavato.
"Cosa mi hai mandato? Una U-mail? Una nuova diavoleria ...?
Ora ti rivelerò un segreto ma cerca di usarlo a fin di bene.
I vivi lo hanno appena intuito ma ancora non se lo spiegano con chiarezza.
Vedi, non ci crederai subito ma i liquidi hanno la memoria, una fantastica
memoria: tutti i liquidi, l''acqua ma soprattutto il vino.
"Un giorno, ero ancora giovane, ho trovato in cantina un fiasco
di barbera col collo in frantumi. Non si getta il buon vino ma, temendo
che vi fossero dei frammenti, lo versai in una conca di terracotta
e lo la-sciai a riposare proprio sotto lo scaffale dei libri.
"Giorni dopo mi accorsi che una piccola edizione della Divina
Commedia era caduta dallo scaffale dentro il vino. Le pagine erano
corrose; le parole cancellate. Il libro era perduto ma il vino no.
Lo filtrai con cura. Me ne versai un buon bicchiere e poi, in due
o tre giorni, me lo bevvi tutto.. .Allora mi piaceva una ragazza di
Courmayeur. La invitai alla festa del Piccolo San Bernardo e la guidai
in una passeggiata ai pascoli alti.
"Non so come, senza quasi rendermene conto, cominciai a declamare
i versi con cui Dante racconta l'incontro con Beatrice: bevendo quel
vino si erano impressi nella memoria e la presenza di quella ra-gazza,
sola con me, li aveva tirati fuori... Già. La ragazza poi sposò
un altro paesano, padrone di più di cento vacche e del caseificio,
ma io potevo recitare interi canti della Commedia...
"Qui ci danno un ottimo succo d'uva: ha un fantastico potere
d'assorbire capolavori e poesie. Pian piano saprò tutto ciò
che c'è da sapere. Il tempo non mi manca. Quando sarai con
noi, capirai tutto senza fatica... .Ma non avere fretta! Ora dimmi
la tua poesia. I tuoi versi sono più da ascoltare che da leggere..."
"Volevo lasciarli a suo figlio, Monsieur Jean Baptiste, poi,
non so perché, li ho tenuti..."
"E hai fatto bene. Sarebbe stato come dare un biscotto ad
un asino!"
"LA NONNITÀ
Vorrei conoscere quel folle che diceva
che solo il tempo è un grande galantuomo.
La vita passa, si sgranano stagioni,
lenta ti sembra ma rapida ti fugge.
Giorno per giorno paternità si snoda,
scioglie un groviglio, un nodo di passione;
dolce ti pare il maturar del vino.
Nella clessidra scorre la sabbia inavvertita:
la vita è bella, non senti il rumore.
Crescono i figli e poi all'improvviso
squilla una voce che ti risveglia... "Nonno!"
Così un mattino, senza preavviso,
ratta colpisce la nonnità inattesa.
Come di colpo, ti lascia giovinezza.
Forse per questo, chiamo l'età... nonnezza!"
"Ho capito, ho capito... Anche tu sei diventato nonno. Era
ora, amico mio! Puoi già provare la memo-ria del vino: scegli
il libro che più ti piace, scioglilo nel vino che preferisci,
lascia riposare la miscela in una brocca aperta per una settimana
e poi fatti una buona bevuta alla mia salute. Chissà!"